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Montale
Nel 1925 Montale pubblica Ossi di Seppia. Subito dopo va a Firenze, dove entra nella rivista Solaria e conosce la seconda donna della sua vita – Irma Brandeis, americana che era lì per studio – che ricorderà con il nome di Clizia.
Nel '39 pubblica Le occasioni: l'opera risente del peso di ciò che il poeta vive a causa dell'inizio della guerra. Clizia è rappresentata come un angelo che solca i cieli e viene spiumata.
Sempre nel '39 conosce Drusilla, che chiama Mosca, donna che sposerà.
La bufera e altro è una raccolta di poesie che pubblica nel '56, raccogliendo le poesie scritte durante la guerra (Finisterre).
In seguito alla guerra torna a Milano, diventa redattore del Corriere della Sera e nel '56, contemporaneamente a La bufera, pubblica La farfalla di Dinard (prosa, tratta dalle sue pubblicazioni nel Corriere). È un periodo di grande crisi per Montale, che non si identifica più con la sinistra né con la destra. Montale critica la società di massa, pubblica pochissimo negli anni '60, finché nel '71 non rilascia Satura: è una serie di poesie, di cui alcune (Xenia, titolo che fa riferimento ai doni dati agli estranei) in memoria della moglie scomparsa.
Le ultime raccolte negli anni Settanta sono I diari nel '71-'72. Mondadori pubblica un'edizione di tutta la poesia di Montale come opera omnia.
Nel 1975, Montale riceve il Premio Nobel. Egli pubblica un discorso intitolato È ancora possibile la poesia nella società di massa?
Muore nel 1981.
Ossi di Seppia
Esce in un'edizione curata da Pietro Gobetti; esso contiene una raccolta con le poesie scritte prima del '25. Le divide in:
- Movimenti
- Ossi di seppia
- Mediterraneo (poemetto)
- Meriggi e ombre
Vi sono un incipit (Inline) e una chiusura (Riviere).
Modelli
Tanto D'Annunzio si poneva a “vate” («l'uomo che non si gira a guardare la sua ombra»), quanto Montale è un “uomo irrisolto”. Da Pascoli ha preso molto, e dove già per Pascoli la natura non era realistica/fine a sé stessa, Montale compie un ulteriore passo: in Montale gli oggetti hanno già in sé la negatività (“foglia accartocciata”, “osso di seppia”…); sono oggetti che mostrano già nel loro essere il disagio esistenziale, la logorazione.
Montale si lega filosoficamente a Schopenhauer, e mostra come le cose sono già effimere. Si potrebbe pensare a Gozzano: rifiuto dell'aulicità, della poesia percepita come qualcosa di nobile, di un linguaggio raffinato a favore di un linguaggio quotidiano e quasi prosastico, e la presenza di una certa autoironia.
Titolo
Gli ossi di seppia sono quelli che Montale chiama “reliquie”: dietro all'immagine dell'osso di seppia. La scelta di “Osso di seppia” come titolo chiarisce che la poesia è qualcosa che compare nella quotidianità, non è destinata esclusivamente a una sfera superiore. Egli parla di un'esistenza arida, prosciugata, banale. Rispetto alla poesia di una volta, la retorica è ridotta all'essenziale. Dentro alle poesie l'osso di seppia e calato nella realtà brulla della Liguria, e il sole è l'immagine negativa di ciò che acceca e brucia.
Temi
Nelle poesie emergono altri oggetti: se l'osso di seppia che dà titolo alla poesia è uno degli oggetti ricorrenti, ve ne sono anche altri che mostrano l'aridità dell'esistenza, ad esempio il muro alto, sempre invalicabile; addirittura, in alcune poesie, il male di vivere è rappresentato come cocci aguzzi di bottiglia. Mentre in Leopardi il muro era attraversato con la fantasia, in Montale questo muro separa l'uomo dalla realtà. L'uomo cerca nel muro un varco, trovando “l'anello che non tiene”.
Il tempo è un altro tema fondamentale: esso è negativo, ed è visto come un continuo ritorno di gesti uguali («giostra di ore»), un fallimento perpetuo di un uomo che cerca di muoversi avanti nel tempo ma non riesce («immoto andare»). La poesia di Montale è estremamente negativa, e in tutte le poesie di Ossi di seppia il tema centrale è il disagio esistenziale. L'individuo non è più singolo, è frantumato. Non esiste più l'immersione del poeta nella natura: viene eliminato del tutto il panismo, e il poeta continua ad arrovellarsi sui rimpianti, sui ricordi (che non sono più conoscitivi in quanto soggettivi).
Se l'uomo non ha capacità comunicative, se la realtà attorno a lui è brulla, secondo Montale il male di vivere si affronta con la «divina» indifferenza, distaccandosi (dolorosamente) dalle cose.
Il pessimismo che vediamo in Montale lascia comunque uno spiraglio, il “varco”, “breccia”, “luce del faro” o “luce della petroliera: anche la salvezza proviene da oggetti squallidi. Lo stesso varco che dovrebbe darci questo momento miracoloso non è facile da trovare. Montale non è del tutto pessimista: egli pensa sempre al varco, e l'ultima poesia («Riviere») afferma di sperare che la sua anima un giorno non sia tutta frammentata, ma stia sotto il sole che illumina le spiagge, immagine rara di un sole che non carbonizza ma illumina.
Montale rifiuta per sé e per la poesia un inquadramento definitivo: si rifiuta di essere eternato, restare stampato nelle “lettere di fuoco”.
Stile
La poesia di Montale apparentemente mantiene la metrica classico, ma come in Pascoli demolisce il progetto tradizionale dall'interno: il linguaggio è spesso stridente, con associazione del linguaggio ricercatissimo a quello basso. L'obiettivo è darci una realtà in poetica, chiarendo lo stridore di un poeta che sta nel mondo e non ne comprende il funzionamento. Montale non ha la «parola magica», quindi non è interessato a creare un focus su un momento di illuminazione: egli mantiene il verso tradizionale, senza un valore di rivelazione, con un rispetto apparente della tradizione poetica.
Gli oggetti sono al centro di tutto, e hanno in loro significato esistenziale.