Caro padre; sono vecchio, molto vecchio. Ho fatto cinque ministeri. Non potevo, capirà, mettermi a cantare Giovinezza.Giovanni Giolitti, ultime parole
Giolitti fu il «terzo dittatore della sinistra storica»; fu a capo del Partito Liberale, il quale perdurò fino al crollo Prima Repubblica. Egli sosteneva una posizione politica riformista-conservatrice, ma essendo comunque nel novero della Sinistra Storica era un protezionista e non liberista. Davanti all'Italia di fine Ottocento, appena dopo i moti del pane, riconobbe che reprimere le rivolte e schierare l'esercito sarebbe stato inutile.
In quanto capace politico, egli decise di iniziare un dialogo con le classi facendo concessioni che non mettessero in pericolo lo stato ma fossero efficaci al fine di dissipare i dissensi. Legalizzò lo sciopero, e così facendo lo privò di alcun significato eversivo. Riconobbe il disagio dei lavoratori e pensò a una concezione moderna dello Stato, come mediatore tra lavoratori e datori di lavoro, regolatore del capitalismo e garante degli interessi di tutti i cittadini. Nel 1904 si ebbe così il primo sciopero generale, conseguente a un eccidio di minatori operato da soldati in Sardegna. Giolitti chiese ai generali dell'esercito di non compiere alcuna rappresaglia nei confronti dei manifestanti: lo sciopero si esaurisce da solo. Egli avviò una serie di riforme, oggi viste come «di sinistra», che gli fecero guadagnare la collaborazione non ufficiale da parte dell'ala riformista di Turati nel Partito Socialista Italiano. Nel 1912 Giolitti concesse il suffragio universale maschile a tutti i maggiorenni, a coloro non sapessero leggere né scrivere a partire dai trent'anni, nonché ai reduci di guerra.
Mantenne comunque il protezionismo, non alterando alcun parametro della politica economica del periodo, poiché in quel momento funzionava. Nel caso di Giolitti, tuttavia, il sistema esistente si incancrenisce: il metodo politico con cui Giolitti andava avanti, il clientelismo, arriva ad alti livelli; si pongono le basi per un sistema alternativo in quanto il potere sta nelle mani dei latifondisti; la popolazione del Sud sente più vicini gli esponenti dello «Stato parallelo» (la mafia) rispetto a quello dello Stato italiano, e si creano sia grandi disparità tra Nord e Sud, tutt'oggi osservabili, che moti migratori. Al contempo al Nord si sviluppano l'industria siderurgica, chimica e meccanica: la siderurgia in particolare è indirizzata nella costruzione delle strade e delle armi. Nacque la FIAT a Torino, che divenne un centro importantissimo, assieme a Milano e Genova. Si forma così il «triangolo industriale» tra queste tre, e le classi che sostengono lo sviluppo dell'Italia sono ancora i capitalisti a Nord e i latifondisti a Sud.
Nelle Lettere meridionali, Gaetano Salvemini denuncia le politiche compromissorie di Giolitti. Salvemini era un grande oppositore di Giolitti: lo chiamava il “ministro della malavita” e considerava il suo modo di governare come privo di alcun anelito per il futuro; aveva un'idea di etica assoluta simile a quella kantiana.
Per accontentare la destra e i nazionalisti italiani, che volevano che l'Italia fosse al pari delle altre potenze europee in quanto a imperi coloniali, egli compì la Campagna di Libia1) contro i Turchi2): conquistò la Libia nel 1912 con il Trattato di Losanna, come premio da dare in pasto ai nazionalisti, come compenso per la mancata conquista dell'Etiopia. Anche il fascismo andrà a ripescare il possesso dell'Impero Romano di quel territorio, l'ultima circostanza in cui avevano avuto la “civiltà”. Giolitti diede il suo contentino ai nazionalisti e vendette questo successo anche alla sinistra e al Sud, come alternativa per gli emigranti italiani all'andare in America. In verità si rivelò come una vittoria di Pirro, perché si conquistarono solo le zone costiere: l'entroterra era infatti difeso non dai turchi, ma dagli stessi abitanti libici.
La massa cattolica era rimasta ferma al non expedit di Pio IX. Il Rerum Novarum di Papa Leone XIII aveva poi vincolato l'attività politica dei cattolici all'associazionismo, creando un'alternativa alla sinistra per l'aiuto ai poveri. Pio X con l'enciclica Pascendi (1907) aveva sciolto l'associazionismo cattolico, lasciando in una condizione di staticità totale la massa cattolica. Giolitti colse la palla al balzo dando loro un escamotage per non offendere la più alta autorità — il Papa: siccome con il non expedit non potevano essere né eletti né elettori, egli fa un accordo con il Conte Gentiloni che fa pronunciare il Papa sul fatto che i cattolici possono votare per quei liberali che avevano firmato un giuramento sulle loro intenzioni di non essere mai anti-clericali: questi partiti liberali devono fare politica che miri a esaltare la presenza statale della religione cattolica. Le elezioni del 1913, le prime a suffragio universale maschile e con la fine dell'assenzialismo cattolico, sono fondamentali.
Contemporaneamente, il Partito Socialista Italiano era luogo di grandi discussioni. La linea del Partito Socialista era contraria alla conquista di Libia, ma vi erano diverse posizioni sulla Prima Guerra Mondiale: il giovane maestro romagnolo Benito Mussolini, ad esempio, era contro la Campagna di Libia. Il Parlamento di questo periodo era composito e frutto di un equilibrio instabile, che esploderà con il dibattito prima dell'entrata in guerra dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. Giolitti n'è consapevole e cede dunque il ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri al conservatore liberale Antonio Salandra.