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La Mafia

Oggi il fenomeno mafioso, seppur con nuove forme e nuovi mezzi1), è presente e radicato sull'intero territorio della Penisola Italiana, e non è più vincolato al Mezzogiorno.

Nel 2022 decorre il trentesimo anniversario delle stragi in cui persero la vita Giovanni Falcone (Capaci – 23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (Via d'Amelio – 19 luglio).

Legge Rognoni-La Torre

È stato difficile in Italia formulare una definizione precisa di «Mafia», in quanto il fenomeno presenta numerose sfaccettature ed è stato oggetto di studio di numerosi sociologi, etnologi e antropologi a partire dall'Ottocento. Il 13 settembre del 1982 fu emanata la legge Rognoni-La Torre, che definisce e pone dunque la base per ostacolare il fenomeno mafioso. Il testo legge:

L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.

Art. 416-bis, codice penale

La presenza di una definizione di “reato di associazione mafiosa” all'interno della Legge Italiana è fondamentale in quanto esplicita l'esistenza della Mafia come organizzazione e non come un semplice elemento culturale o un aspetto della mentalità degli abitanti del Meridione: senza una definizione che circoscrive il fenomeno a specifiche dinamiche e che enuncia i tratti distintivi di ogni organizzazione a delinquere che afferisce a tale matrice, risulterebbe impossibile individuare e processare i responsabili delle attività di stampo mafioso.

Fino all'introduzione della Legge Rognoni-La Torre molti dei processi a mafiosi, anche dove le imputazioni sembravano incontestabili, decaddero per mancanza di prove. Virginio Rognoni, che presentò in Parlamento la legge da solo, ebbe una particolare attenzione nel sottolineare le misure di prevenzione patrimoniali2). Questa idea trae origine da una riflessione: i mafiosi non temono il carcere e restano quasi ugualmente potenti e pericolosi anche quando sotto reclusione, almeno fino alla promulgazione dell'articolo 41-bis (regime di carcere duro per i mafiosi)3). Addirittura, il carcere è stato a lungo visto come una «università del crimine» per gli iniziati alle organizzazioni mafiose. Ciò che, a differenza della prigione, questi mafiosi temono è la sottrazione dei beni: i loro beni sul territorio sono infatti, prima che la loro proprietà e parte della loro fonte di guadagno, simboli del loro potere (si pensi alle ville, castelli, ecc.).

Sono pertanto istituiti il sequestro e la confisca:

Il 30 aprile del 1982 viene ucciso Pio La Torre5), promotore e ideatore di questa legge. Il 3 settembre, dieci giorni prima dell'approvazione della legge, viene ucciso da parte di Cosa Nostra il Prefetto di Palermo, Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa. In un clima insostenibile, il Parlamento dieci giorni dopo approva la legge.

Legge 109

La Legge Rognoni-La Torre, anche una volta approvata, presenta un grave difetto: essa non esplicita come gestire i beni confiscati alle mafie, abbandonando dunque tutte le proprietà sottratte ai mafiosi in rovina, e lasciando senza un incarico chi lavorava su quei beni.

Nel 1996 viene approvata un'altra legge fondamentale: è la Legge 109, che integra la Rognoni-La Torre riassegnando i beni confiscati ad organizzazioni e cooperative di utilità sociale. Legge di iniziativa popolare, la 109 venne portata in Parlamento dopo una raccolta firme organizzata dall'associazione antimafia Libera, che nasce nel 1995. È significativo notare come in quel momento, per compiere un gesto contro le mafie, non fu peraltro necessario esporsi ad alcun rischio, ma fu sufficiente firmare una proposta di legge dal basso.

Purtroppo ancora oggi non tutti i beni confiscati vengono riassegnati e l'iter è particolarmente lungo, ma ove ciò avviene le attività risultano realmente funzionali all'attività sociale. Tra queste attività vi sono anche alcune imprese di grande successo, come il vino Cento Passi che realizza un prodotto estremamente apprezzato, sia in virtù del suo stesso pregio, sia poiché esso finanzia l'azione di legalità sul territorio.

Il riutilizzo sociale dei beni configura un grave rischio, ossia la rivendita di tali beni alle stesse mafie a cui sono stati sottratti mediante prestanome. È per questa ragione, la difficoltà nel garantire che ogni livello dell'operatività commerciale sia del tutto esente da attività di stampo mafioso, che spesso risulta difficile per i Comuni assegnare i territori anche una volta confiscati dalle mafie (come ad esempio i terreni).

Storia della Mafia

Periodo Preunitario

L'idea di mafia nasce all'interno della cornice dello Stato moderno; lo Stato moderno deve avere:

È proprio in questo modello che alcuni comportamenti che non si allineano con questa idea di Stato vengono percepiti come patologici, mentre in uno Stato dell'ancien regime sarebbero risultati fisiologici e non sarebbero stati notati. È dunque appena prima dell'Unità d'Italia che compare per la prima volta la parola, e l'idea, di «mafia». Nel Meridione, e in particolare in Sicilia, l'Antico Regime è abolito ufficialmente nel 1812, e a partire dal '15 si ha la Restaurazione da parte dei Borboni, che seppur con un certo ritardo si allineano alla forma napoleonica dello Stato. Dove tuttavia i magistrati e le forze di polizia sarebbero dovuti essere inviati dallo Stato sul territorio, in Sicilia questi vengono scelti in quanto parte delle élite paesane. Tutti i paesi sono ripartiti in fazioni (solitamente 2) appartenenti a famiglie, e molto difficilmente i magistrati applicheranno la legge secondo i principii dello stato moderno: essi di fatto, nei vari processi preunitari, difendono la fazione stessa a cui appartengono. Anche le forze dell'ordine agiscono in modo competitivo: la Giandarmeria centralizzata, che arriva solitamente da lontano e agisce nell'interesse della sovranità dello Stato, difficilmente riesce a fare valere il proprio ruolo rispetto alle varie compagnie d'armi; queste ultime sono gruppi di giovani violenti e abili con le armi guidati da un capitano scelto da un notabile.

I notabili che organizzano le compagnie non agiscono nemmeno nell'intento di perseguire i criminali, bensì il loro scopo è quello di rimediare ai delitti, spesso cedendo a patti con chi ha commesso il reato: vi sono autentiche transazioni tra criminali e i capitani: i primi ottengono l'impunità e spesso anche una parte della refurtiva, gli ultimi ritengono di aver risolto la situazione e ricevono persino l'encomio da parte dei notabili. Anche nel periodo preunitario vi è chi sostiene comunque le parti della Giandarmeria e si oppone al cosiddetto sistema della «Componenda»6): questo sistema è per la prima volta definito mafia. Dall'altro lato vi sono i sostenitori delle compagnie d'armi, che ritengono valida una gestione dell'ordine extra-legale.

Una figura sociale strategica che si sviluppa nella Sicilia dell'Ottocento è quella del gabellotto: si tratta di una figura subordinata a quella del latifondista, di cui è un affittuario, tuttavia nell'Ottocento il processo di disgregazione del latifondo porta a un'ascesa del gabellotto al grado di proprietario. È inoltre frequente che il latifondista scelga i gabellotti in base alla loro capacità militare, andando a prediligere quei gabellotti che dispongono di un vasto apparato di campieri, ossia gli assoggettati ai gabellotti che spesso sono racimolati tra gli ex-banditi, andando a formare una milizia privata per i gabellotti con il ruolo di mantenere l'ordine nelle campagne; in realtà il loro spirito è quello di intimidire i malintenzionati o accordarsi con loro, e spesso intimidiscono i nemici del gabellotto o direttamente del latifondista di cui il gabellotto è affittuario, o scoraggiano un altro gabellotto da fargli concorrenza.

I gabellotti, tramite la loro forza armata, sono dunque in grado di interagire sia con chi, nella società, si trova al di sotto, al di sopra, e al loro stesso livello, una prerogativa che fin oggi accomuna tutte le mafie. I gabellotti non si occupano mai direttamente del trattamento dei campi coltivati, che invece affidano ai contadini, ma si dedicano all'allevamento, che richiede loro capacità di muoversi tra latifondi, su territori molto vasti e spesso confinanti: altra caratteristica tipica della mafia. Le abilità sperimentate dal gabellotto nell'allevamento risulteranno poi strumentali nel contrabbando. Uno dei reati più comuni in questo periodo è l'abigeato7), che viene solitamente risolto con la componenda o mediante la violenza.

Unità d'Italia

Tra il 1821 e il 1866 la Sicilia è un luogo assai travagliato: sono più i momenti di lotta che quelli di tranquillità. Nel 1866 si ha la Rivolta del Sette e Mezzo, a cui prendono parte personaggi di ogni sorta, e vengono commessi parecchi crimini che in un clima tanto arroventato come quello della Sicilia di allora passano pressoché inosservati, dimostrando come anche i reati di mafia possano restare fuori dal radar in un contesto di estremo disagio sociale8).

Nei periodi appena successivi all'Unificazione l'Italia è in mano alla Destra Storica, sulla linea di «piemontesizzazione» e accentramento del potere in Italia. I prefetti, rappresentazione classica del potere dello Stato sul territorio, sono l'anima dello Stato, con il ruolo di mantenere l'ordine pubblico, assegnare lodi e individuare i cittadini modello.

Nel 1868 viene introdotta la tassa sul macinato, vissuta come particolarmente odiosa al Sud, e in questo periodo viene anche aggiunta una leva obbligatoria di sette anni ma non si ha la tanto attesa riforma agraria: ciò comporta la trasformazione di molti contadini in briganti, e la risposta dello Stato unitario è repressiva e per nulla attenta alle motivazioni di tali tumulti. La Legge Pica del 1863 prevede che i territori in cui è presente il fenomeno del brigantaggio vengano posti sotto legge marziale, e tra il '61 e il '65 vengono inviati al Sud 120.000 militari9) e sono uccisi 5.000 briganti. Nel 1865 il brigantaggio è dichiarato (di fatto erroneamente) sconfitto.

La Relazione Bonfadini venne scritta per conto di una commissione d'inchiesta sulle condizioni della Sicilia nel periodo post-unitario: essa riconduce la mafia a una sorta di esasperazione della mentalità meridionale, e parla della presenza di briganti come un fenomeno radicato in quel territorio già da prima dell'Unità, trovando una continuità tra l'età borbonica e post-unitaria, e individuando la novità del periodo post-unitario nelle grandi dimensioni numeriche raggiunte da coalizioni tra le bande e i vari contadini che non riescono più a operare nei margini della legge, per effettuare colpi particolarmente complessi10). Dalla capacità delle bande di espandersi rapidamente e dissolversi nella loro forma organizzata subito dopo, come una sorta di guerriglia, nasce un allarme sociale, con conseguente reazione da parte dello Stato.

Sequestri di persona, rapine e abigeati, che richiedono territori molto ampi in cui nascondere il bottino, rendono evidente che il brigantaggio siciliano poggia su una fitta rete di relazioni, che prende il nome di manutengolismo: i manutengoli, una sorta di mafiosi, sono coloro che procurano i mezzi (armi, cavalli, cibo, rifugio ecc.), ma spesso il termine è usato per riferirsi ai contadini costretti a ospitare ai briganti e rimanere omertosi rispetto alla forza pubblica per timore di ripercussioni; sono manutengoli anche i notabili, che temono per la loro vita, i loro beni, ostentano un loro prestigio e usano il brigantaggio contro i loro nemici, difendendo così anche i briganti, in una mutuale ambigua relazione tra briganti e notabili, che in un certo senso sono vittime e complici, protettori e loro protetti. D'altro canto, anche l'autorità pubblica diventa spesso complice di questo sistema, con Prefetti che lodano i banditi che hanno ucciso altri banditi in quanto “protettori”, concedendo loro salvacondotti che consentono di muoversi al di fuori della legge. La trattativa tra Stato e briganti si svolge pertanto sullo stesso piano, “da potenza a potenza”, e assistiamo alla moltiplicazione delle fonti del potere in un sistema dove ogni fonte di potere è legittima fintantoché dispone della forza per imporsi.

Primo Dopoguerra

Durante la Grande Guerra e appena dopo, in Sicilia vi sono spesso insurrezioni di interi paesi di contadini che vogliono terra. Vengono messi in campo progetti di riforma agraria, e si assiste a un passaggio di proprietà dal latifondo ai piccoli privati; questi solitamente non sono direttamente contadini, ma vi sono intermediari che si interfacciano con i legali e gli altri uomini che lavorano per conto dei latifondisti. Spesso gli intermediari sono cooperative, che acquistano le terre dai latifondisti e le affittano ai contadini, anche a prezzo elevato. I contadini si sentono comunque a loro agio in questo nuovo sistema basato sulle cooperative.

Le cooperative sono sempre articolazioni di fazioni locali, e l'acquisizione e ridistribuzione della terra sono ancora una volta assoggettate alle dinamiche di divisione in fazioni. I documenti che attestano i passaggi di proprietà spesso riportano la dizione “mafiosi” per riferirsi ai vari campieri che organizzano queste cooperative: il fenomeno era infatti noto anche alle forze dell'ordine. La mafia si colloca ancora una volta come una posizione intermedia nella mediazione tra contadini e latifondisti.

Età fascista

Il 23 ottobre del 1925, Cesare Mori viene nominato da Mussolini Prefetto di Palermo con l'esplicito scopo di debellare la mafia, e viene pertanto dotato di amplissimi poteri, con l'ordine esplicito di colpire in alto e in basso. Mussolini parla direttamente ai siciliani, creando per la prima volta una netta distinzione tra il popolo siciliano, che elogia, e il ridotto numero dei mafiosi, che descrive come responsabile dell'immiserimento della regione.

Mori crea una distinzione tra l'«omertà cattiva» e l'«omertà buona»: l'omertà cattiva è quella di chi si pone contro lo stato; non si riferisce squisitamente alla reticenza, ma principalmente all'azione. L'omertà buona è quella di chi oppone la fierezza alla prepotenza, la forza alla forza, il “moschetto al moschetto”: secondo una lettura che rientra pienamente nella visione fascista della lotta alla mafia, fare la guerra alla mafia vuol dire saper essere “più mafioso dei mafiosi”. Mori, detto anche «il prefetto di ferro», capisce la necessità in Sicilia di mantenere rapporti quanto più possibilmente personali, cercando di creare una fitta rete di conoscenze attorno a lui e rivolgendosi anche ai campieri, organizzando una sorta di “parata” dei campieri, facendoli disporre in fila e assegnando a ciascuno un distintivo, che rende personale il rapporto tra lui e il campiere: il distintivo legge “La forza che difende la produzione”11). Il prefetto esalta il coraggio del singolo contadino che, di fronte alla prepotenza, reagisce anche con le armi. L'azione di Mori è radicale: nel 1926 egli arresta decine di persone sospettate di mafia e tutte le loro famiglie, e fa organizzare vendette trasversali nei confronti dei latitanti, macellando i loro animali, mettendo in vendita i loro beni, deportando intere famiglie e spesso violentando anche le loro donne. Nelle retate e nei processi che seguono, i nobili e i latifondisti non sono coinvolti: i proprietari terrieri sono stati ribattezzati «produttori» e sono i veri interlocutori di Mori e del fascismo. Il gabellotto è invece l'elemento medio, che viene represso così come tutti gli altri intermediari che competono con il potere centrale del fascismo. Nel 1929, termine del suo mandato, Mori proclama la sconfitta della mafia, con l'ordine ripristinato grazie al fascismo, contro il disordine della democrazia. In realtà, negli anni '30 la lotta alla mafia ricomincia per volontà di Mussolini, che questa volta cerca di agire in modo molto più discreto, anziché nominare un nuovo «prefetto di ferro». SEMBRA CHE CESARE MORI, IN VERITA', FU RIMOSSO DA MUSSOLINI STESSO IN NOME DELL'ALLEANZA TRA I LATIFONDISTI ED I FASCISTI CHE CONNOTO' LE RELAZIONI DI POTERE NELL'ITALIA DEL VENTENNIO, TANTO E' VERO CHE, QUANDO LA LOTTA ALLA MAFIA FU RIPRESA, EBBE UN CARATTERE BLANDO E MIRO' ALLA SEMPLICE MANOVALANZA.

Italia Repubblicana

L'Italia Repubblicana si inserisce già in una cornice di divisione del mondo in blocchi: il blocco occidentale da un lato, il blocco sovietico dall'altro. L'Italia si colloca dal lato atlantista, e vive le tensioni internazionali declinate a livello locale: nel maggio del '47 si ha la rottura all'interno delle forze antifasciste, il 18 aprile del '48 il trionfo della Democrazia Cristiana, che si afferma poi come partito che avrebbe retto le sorti dell'Italia per moltissimi anni. I mafiosi, da subito, si integrano nel sistema democristiano e la denuncia antimafiosa resta in mano alla sinistra, che rimane isolata nel denunciare la mafia.

Mafia contemporanea

Tra gli anni '50 e '60 del XX secolo Palermo viene “saccheggiata” con il blocco formato dalla mafia da un lato, e la D.C. dall'altro, che si interessano particolarmente all'edilizia. Vengono distrutti antichi palazzi, il verde pubblico e privato viene eliminato e Cosa Nostra manipola i piani regolatori e gli appalti compiendo un “salto di qualità” nel suo rapporto con la politica.

Nel 1962 si assiste alla prima guerra di mafia, con uno scontro tra le famiglie Greco e La Barbera: quest'ultima ne uscirà sconfitta, anche in seguito a colpi di pistola ricevuti da Angelo La Barbera a Milano, mostrando come già la mafia era ampiamente attiva anche al Nord. I Greco appartengono al paese di Ciaculli, dove il 30 giugno del '63 in una strage12) muoiono sette uomini delle forze dell'ordine. La mafia si dà una veste di “modernità”, organizzando attentati anche con esplosivi e mezzi meno convenzionali rispetto a quelli visti finora: nel corso della storia, la mafia è infatti risultata in grado di adattarsi e cogliere tutte le opportunità, anche tanto recentemente quanto nel periodo della pandemia del 2020-2021. Sarebbe tuttavia profondamente errato contrapporre una mafia delle origini alla sua forma attuale, o ritenere l'una meno pericolosa, dannosa o profondamente diversa rispetto all'altra, anche per quanto riguarda omicidi di donne e bambini.

Il 23 maggio del 1992, con la strage di Capaci, ha inizio una “stagione delle mafie” che risultò estremamente dannosa per la stessa organizzazione di Cosa Nostra, in quanto rese visibile la mafia e creò un allarme sociale. Siamo in un periodo in cui tra le due componenti principali della mafia, il controllo territoriale e gli affari, la seconda componente era venuta a prevalere, e pertanto aveva posto il controllo del denaro in mani diverse a chi deteneva il potere (mediante il traffico di stupefacenti, v. Buscetta, Badalamenti). Il progetto di Totò Riina e Bernardo Provenzano era probabilmente quello di riportare l'ordine precedente, avviando una seconda guerra di mafia a un prezzo di sangue altissimo per i mafiosi, provocando tuttavia la risposta dello Stato e le conseguenti stragi di Capaci e Via d'Amelio, in cui rispettivamente persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Cosa Nostra Statunitense

Tra gli anni '50 e '60 si assiste a una complessiva riorganizzazione della mafia, tra la Sicilia e gli Stati Uniti, voluta da Cosa Nostra statunitense. Perché avvenne su sollecitazione di Cosa Nostra statunitense, a Palermo tra il 12 e il 16 ottobre 1957 si tenne una riunione a cui partecipano Giobananno e Badalamenti: in quel periodo questi, così come Buscetta, trascorre una parte significativa delle nottate sulla spiaggia ad aspettare navi che portano merci di contrabbando da oltreoceano, per poterla smistare e vendere al dettaglio. A questa riunione assiste anche Russo, un vecchio boss mafioso, che a proposito afferma: “Ci sbraneremo come cani”.

Lo scopo di questa riunione è quello di regolare il traffico di stupefacenti tra USA e Sicilia: in questo periodo si apre un significativo spazio di traffico per le organizzazioni criminali che riescono ad accaparrarselo, e Cosa Nostra non vuole perderselo. Cosa Nostra americana, specie a New York, non ha il monopolio sulla gestione dei traffici illeciti ma compete con la mafia ebraica e quella irlandese. Negli Stati Uniti, Cosa Nostra ha l'ambizione di riuscire a controllare l'intero traffico, e mettere in piedi un'organizzazione tra le due sponde dell'Atlantico. Il contributo di Cosa Nostra siciliana è davvero importante, perché a partire dalla vendita di agrumi della Conca d'Oro (Palermo) riesce a sfruttare la medesima rete di trasbordo transatlantica anche per la droga. Cosa Nostra deve dunque darsi un'organizzazione centrale, gerarchica, verticistica, piramidale, con il controllo in mano alle famiglie. Buscetta decide per sua scelta di non partecipare, così come Joe Adonis che non partecipa in quanto attende gli esiti della riunione.

Nato come Giuseppe Doto in Campania, la famiglia di Joe Adonis si trasferisce negli Stati Uniti 6 mesi dopo la sua nascita. Da ragazzino, volendo arricchirsi in fretta e compiere una scalata sociale, si dedica prima al mestiere di lustrascarpe e poi fa lo strillone, ma in seguito si dà alle scommesse e poi alle bische clandestine. Diventa presto braccio destro di Frank Costello, importante boss di Cosa Nostra. Joe Adonis gestisce bar, discoteche e night club, e una serata in un locale notturno viene descritto come “adone” da una ballerina, diventando dunque “Joe Adonis” da Giovanni Doto. Joe Adonis ottiene il monopolio sulla distribuzione di automobili di Ford prodotte in quella zona, e continua i suoi traffici illegali. In un interrogatorio gli viene chiesto dove fosse nato e nega la sua origine Campana. Avendo mentito, è espulso negli Stati Uniti.

La riunione di novembre '57 si tiene invece in America: la polizia locale fa irruzione, compie arresti e manda all'aria l'intero progetto. L'irruzione della polizia locale mette sotto i riflettori la questione mafiosa negli Stati Uniti d'America, mobilitando le forze politiche e i media americani contro la mafia, al punto che nel 1960 Robert Kennedy descrive la mafia come “nemico interno che intacca la fibra morale della società”13). Negli Stati Uniti vi è inoltre un importante collaboratore di giustizia, Joseph Valachi, che fornisce una prima descrizione dell'organizzazione e della ritualità di Cosa Nostra, e descrive come Cosa Nostra si era insediata nel territorio americano: 5 famiglie a New York, una famiglia in ciascuna città dove Cosa Nostra è riuscita a radicarsi, e ciascuna famiglia nomina un rappresentante in una commissione. È il primo a fare chiamare la mafia “Cosa Nostra”.

Nel 1958 Joe Adonis è a Milano, apparentemente vivendo come pensionato con i fondi di cui è entrato in possesso. Joe Adonis era entrato in contatto con Giovanni La Barbera14), Buscetta15), e conosce vari personaggi che raffinano stupefacenti, lasciando intuire che dopo la prima riunione del '57 gli fosse stata assegnata la gestione del traffico di droga di quella zona.

Ligera e malavita nel Milanese

In quel periodo a Milano vengono esplosi parecchi colpi di pistola: muoiono vari mafiosi quali Ignazio Norrito (1954) e Antonino Matranga (1970). A Milano, contemporaneamente, vi era un fenomeno di microcriminalità chiamata “Ligera”; tra i personaggi che facevano parte di questo fenomeno vi era Otello Onofri, che derubò Grace Kelly.

Francis Turatello, nato nel 1944, inizia con una vita normale, frequentando la scuola e volendo dedicarsi (sulle orme della madre) alla sartoria. In seguito, tuttavia, avendo grandi ambizioni entra nella criminalità e finisce sotto l'ala protettiva di Onofri. Francis Turatello gestisce il traffico della prostituzione (guadagnando 10 milioni di lire a sera) e della vendita di droga nelle bische. Sappiamo anche di parecchi incontri tra Cosa Nostra e Turatello, e che Turatello, pur non facendo parte della mafia, si sia affidato a Cosa Nostra per eliminare personaggi scomodi, e che allo stesso tempo Cosa Nostra si avvalesse del ruolo di Turatello per la gestione di bische.

Vallanzasca, coetaneo di Turatello, è in competizione con quest'altro criminale e cerca di costruire su di sé un'autentica leggenda. Leader della banca della Comasina, si dà a furti, rapine, sequestri di persona, e ha ottenuto un totale di 4 ergastoli e 295 anni di galera. In prigione, Vallanzasca si comporta in modo diametralmente opposto agli ordinari mafiosi, che invece hanno solitamente una condotta molto dimessa.

La mafia è un'altra storia, hanno una tradizione, hanno i boss tutti capaci di usare la testa. Noi con loro potevamo convivere ma facendo attenzione. Ho capito che gente come noi è di passaggio. A Milano le grandi bande reggono una decina d'anni, poi succede qualcosa. I loro boss, invece, muoiono a ottant'anni e non li conosce nessuno. Intervista a Epaminonda di Piero Colaprico, la Repubblica, 4 maggio 1989


Giorgio Ambrosoli era il liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona. Fu ucciso da Cosa Nostra sotto casa sua nel 1979. Sindona, che aveva stretti rapporti con vari democristiani (es. Andreotti) e altri politici di alto profilo, aveva costruito un impero di corruzione mediante una fitta rete di prestanomi, e fallita la sua impresa aveva nascosto i fondi accumulati, che Ambrosoli aveva il compito di rintracciare. Sindona trova quasi immediatamente un erede: Roberto Calvi. In questo nuovo contesto cambia il quadro politico: il PSI prende il posto di DC, ed è lo stesso Roberto Calvi a perdere la vita (fu trovato impiccato a Londra).

Inchiesta Mafia Capitale

L'Inchiesta Mafia Capitale (2015) si è compiuta nella città di Roma, rivelando un sorprendente intreccio tra due personaggi – Massimo Carminati e Salvatore Buzzi – di provenienze ideologiche lontanissime: il primo di estrema destra, fascista, il secondo di sinistra. Buzzi, dopo aver scontato da giovane la sua pena per aver ucciso un uomo, aveva avviato una serie di cooperative, spesso di ex-detenuti, per occuparsi di molti degli ambiti umanitari solitamente associati alla sinistra (assistenza agli immigrati, verde pubblico, ecc.). Buzzi e Carminati hanno assieme costruito un sistema di corruzione, penetrazione nelle amministrazioni comunali, negli appalti pubblici, corruzione e violenza, andando a costituire una sorta di vera e propria mafia, caratterizzata da originalità16) e originarietà17).

1)
sono infatti ormai considerate controproducenti per la mafia operazioni criminali «di alto profilo» come le stragi del '92
2)
colpire il patrimonio dei mafiosi
3)
e ciononostante alcuni mafiosi riescono ancora oggi a comandare dal carcere
4)
terzo grado di Giudizio
5)
segretario regionale siciliano del Partito Comunista e parlamentare
6)
accordo
7)
furto di bestiame
8)
v. assassinio di Peppino Impastato, 1978
9)
$\frac{1}{2}$ l'esercito italiano!
10)
questa relazione afferma che comunque le sole, singole bande rimangono relativamente piccole, formate solitamente da una decina di briganti ciascuna
11)
ossia i latifondisti
12)
viene usato del tritolo
13)
terminologia allora prevalentemente riferita ai comunisti e altri anti-americani
14)
aveva partecipato al Sacco di Milano
15)
titolare di un'azienda di Milano che importa burro, denominato «boss dei due» mondi perché opera tra l'Europa e le Americhe
16)
rispetto alle altre mafie
17)
rispetto alla città di Roma